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Tornare umani

por Susanna Tamaro

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Per «tornare umani» bisognerebbe innanzitutto aprire gli occhi. Letteralmente, quelli che Madre Natura ci ha fornito per difenderci dai predatori, per trovare il cibo o individuare un potenziale partner. E, letterariamente, quelli che ci presta Susanna Tamaro dal suo osservatorio nei boschi dell’Umbria, dove l’irruzione del signor Sars-Cov-2 nella civiltà non è stata una sorpresa poi così grande. Piuttosto una prevedibile (e dagli scienziati attesa) contromisura alla nostra invadenza sul pianeta.

È stata la superbia dominatrice ad accecare l’uomo: «Inutile dare ordini ad Alexa, inutile fare una videochiamata con un amico in Nuova Zelanda o far vivere avventure entusiasmanti ai nostri avatar — ammonisce la scrittrice —. Per la natura siamo soltanto grandi mammiferi senza pelliccia da tenere sotto controllo e, dispiace dirlo, la natura ha un arsenale di armi infinitamente più potente di quello di cui disponiamo noi».

Non è un romanzo, l’ultimo libro dell’autrice del celebre Va’ dove ti porta il cuore, pubblicato da Baldini&Castoldi quasi trent’anni fa. Non è un manuale,anche se somministra consigli. Né un trattato medico, bellico o ambientalista, anche perché «le nostre battaglie ecologiste — scrive — sono in realtà battaglie ecoegoiste. Salvare la Terra, insomma, non vuol dire altro che cercare di salvare la nostra specie».

Tornare umani, 280 pagine edite da Solferino, è piuttosto un memoriale, una testimonianza. O così comincia, sullo sfondo della bella biblioteca di scienze naturali, accumulata in sessant’anni dall’autrice: «Quello che, sulla Rete, lo fa l’algoritmo, lo compie la mia memoria davanti agli scaffali polverosi». Affollati dunque da muffe, microbi e batteri? Sì, certamente, ma così Susanna Tamaro ha arricchito, oltre alle sue conoscenze, il proprio microbiota, il personal trainer del sistema immunitario. Anche se ciò non le ha impedito di essere stata una delle prime vittime del virus che ha cambiato il mondo. O, meglio, del virus che ha approfittato di un mondo evoluto nella direzione sbagliata: «Si è abbattuto sulla nostra società gaudente e, in pochi mesi, l’ha trasformata in un mucchio di rovine».

Una società epicurea, impegnata in un carnevale protratto fuori tempo massimo. Una società che dietro le allegre maschere nasconde la mascella dei pescecani. «L’economia ha abbandonato l’etica e si è trasformata in finanza. L’economia nutriva gli uomini, la finanza nutre gli squali». Se il Covid-19 ha avuto un merito, è stato quello di far riaffiorare (brevemente) l’umano senso di gratitudine verso i medici e il personale ospedaliero.

Da attenta osservatrice di vizi e virtù, debolezze e fragilità che caratterizzano la nostra specie, e da cultrice della saggezza orientale, Susanna Tamaro alterna il suo diario personale, durante la pandemia, a riflessioni antropologiche sulla paura e la sua percezione, per esempio, nell’universo cinese, dove è rappresentata da un imprevedibile ideogramma, il carattere kong: il disegno stilizzato di due uccellini in un nido minacciati da un rullo di tamburo. Il nemico invisibile. Quello che ha aperto le porte all’«infodemia»: il vaticinio di un «Armageddon virale», la diffusione di notizie tanto allarmanti quanto inesplicate, anche se disgraziatamente fondate. Il capro espiatorio è diventato così il pangolino, del quale pochi conoscevano l’aspetto o anche solamente l’esistenza, prima che iniziasse la sua triste marcia forzata verso l’ingiusta estinzione.

Il racconto ha il pregio della presa diretta, che sia dentro un centro vaccinale o dalla finestra aperta su un volo di rondini. La romanziera narra di sé stessa: una sessantenne dalle tendenze un po’ eremitiche, ma appassionatamente immersa nella sua vita campestre; un’anarchica ribelle all’ossessione delle terapie preventive, razionalmente grata ai vaccini e pacatamente contraria alla loro obbligatorietà e all’intransigenza del Green pass. «Un mondo pieno di malati è il mondo sognato e poi creato dai grandi colossi farmaceutici per cui l’ultimo interesse è la nostra vera salute. A loro sta a cuore il nostro benessere immaginario» accusa. E aggiunge, contro gli accanimenti terapeutici: «Una medicina che non ammette più la sconfitta della morte è una medicina che comincia a camminare in terreni pericolosamente paludosi». Perché la vita a ogni costo non sempre tiene conto anche della qualità della vita. Perché la medicina ha imparato a curare quasi sempre il Covid, ma non ancora a rimediare a tutti i danni, eventuali, presenti e futuri delle ripetute dosi di vaccino.

E «tornare umani»? Quell’esortazione che pare inclusa nel titolo come una confortante possibilità? Dovrebbe partire da una richiesta di scuse, ipotizza l’autrice. Da parte dei governanti, nei quali la maggioranza della popolazione ha riposto la propria fiducia, dimostrando pure un’encomiabile disciplina. La lista delle mancanze da condonare occupa oltre due pagine del libro: «Il perdono è la linfa vitale di ogni rapporto umano che desideri rimanere tale, crescere in profondità e compassione nel corso del tempo — conclude Susanna Tamaro —. I politici sono esseri umani e, come tutti noi, possono sbagliare. Ora che ci troviamo davanti ai cocci di un Paese e l’onere per la crisi energetica e mondiale si manifesta sempre più difficile e cupo, sarebbe molto importante che venisse compiuto questo passo».

Poi bisognerà chiedere tutti assieme perdono alla Terra, «perché non abbiamo saputo far altro che umiliarla, gettandole sopra la cupa maledizione del nostro orgoglio». L’orgoglio frustrato e la rabbia di non esserne i creatori. Sarà un pentimento in ogni caso fatalmente tardivo, ma necessario, «perché non è obbligatorio soccombere alla banalità del male. Si può sempre scegliere, si può sempre resistere».

C’è chi ha saputo farlo in tempi perfino più disumani.
adicionada por AntonioGallo | editarCorriere della sera
 
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